Jean-Léon Gérôme (1824-1904)La storia in spettacolo

Pollice Verso, 1872
Collection of Phoenix Art Museum
© Phoenix Art Museum / DR
Marchand de tapis au Caire, 1887
Minneapolis, Minneapolis Institute of Arts
© Minneapolis Institute of Arts
Jean-Léon Gérôme fu uno dei pittori francesi più celebri del suo tempo. Egli fu, durante la sua lunga carriera, oggetto di polemiche o critiche aspre, in particolare per aver difeso, contro le generazioni realiste e impressioniste, i codici di una pittura accademica in affanno.
Gérôme fu per questo meno erede che creatore di mondi pittorici inediti, fondati su un'iconografia spesso singolare, che privilegia il soggetto e la narrazione erudita. Dipingere la storia, dipingere delle storie, dipingere tutto, fu la grande passione di questo artista. Rappresentò continuamente la mescolanza dei valori e dei generi in un'estetica del collage e dello sfalsamento che intriga sempre. L'abilità nel creare immagini, nel dare l'illusione del vero tramite l'artificio e il sotterfugio va di pari passo con una pittura del finito ma non della perfezione.
Diogène, 1860
Baltimore, Walters Art Gallery
© The Walters Art Museum, Baltimore
Gérôme, pittore accademico ben poco ortodosso, seppe così mettere in scena la Storia, dall'Antichità al mondo che gli fu contemporaneo, e trasformare, grazie a immagini particolarmente efficaci, lo spettatore in testimone oculare.
Questa esposizione, la prima monografia organizzata a Parigi dalla morte dell'artista nel 1904, mostra l'opera di Gérôme sotto tutti i suoi aspetti, pittore, disegnatore e scultore, dall'inizio della sua carriera negli anni Quaranta del 1800 fino agli ultimi anni e sottolinea il singolare rapporto che egli mantenne con la fotografia. Essa non mira a una riabilitazione dell'artista, già realizzata nel corso degli anni 1970-1980 dalle opere pionieristiche del professor Gerald Ackerman, ma a sottolineare la modernità paradossale di colui che a lungo considerato un reazionario.
Creatore di immagini, la sua arte ha nutrito quell'arte dell'illusione del vero, della creazione artificiale di mondi esatti che è il cinema e numerose sue opere, diffuse tramite la stampa e la fotografia, sono divenute dei motivi iconici della cultura visiva popolare.
L'episodio neoellenico
Intérieur grec, en 1848
Musée d'Orsay
Acquisition, 1981
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
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Il circolo dei neoellenici si creò in modo informale, raggruppando dal 1847 in rue de Fleurus dei giovani artisti appassionati da una visione nuova della Grecia antica. Questo approccio cercava di essere archeologico, in rottura con le evocazioni allora diffuse di un'antichità greco-romana approssimativa.
Gérôme evocò al termine della sua vita l'atmosfera di questo falansterio artistico: "Era il ritrovo di tutti i compagni e c'erano anche dei musicisti. Ci divertivamo molto e la concordia regnava fra noi". I neoellenici privilegiarono la rappresentazione erudita dei soggetti intimisti o aneddotici, declinati fra un arcaismo formale un po' freddo e delle tinte ricercate che gli vennero rinfacciati, tanto più che la mescolanza del genere alla pittura storica e la precisione degli accessori archeologici ostentati con compiacenza sviavano la tradizione classica.
Jeunes Grecs faisant battre des coqs, en 1846
Musée d'Orsay
Achat, 1873
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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Al Salone del 1847, l'opera Giovani Greci assistono a un combattimento di galli firma gli inizi di Gérôme come giovane talento promettente. Egli viene salutato come un artista audace nelle sue scelte iconografiche, ma considerato da alcuni come un pericoloso perturbatore delle regole in vigore. Davanti al successo del quadro, Gérôme si vede rapidamente riconosciuto come il capofila di questo movimento di breve durata che ebbe un ruolo importante nel rinnovamento pittorico degli anni Quaranta del 1800 e nella diluizione progressiva del genere nella pittura storica.
Gérôme, pittore di storie
La mort de César, 1859-1867
Baltimore, Walters Art Gallery
© The Walters Art Museum, Baltimore
Nel corso del Salon del 1859, Baudelaire affronta la spinosa questione del divenire della pittura di storia: "L'erudizione ha qui lo scopo di mascherare l'assenza di immaginazione. Pertanto, il più delle volte, si tratta di trasporre la vita comune e volgare in un contesto greco o romano". L'impegno porta logicamente al censimento delle opere inviate de Gérôme che presenta tre lavori dalle risonanze antichizzanti piuttosto marcate: Il Re Candaulo, Ave Cesare e La morte di Cesare. Al pittore vengono tuttavia riconosciute "nobili qualità", compromesse però dal "divertimento della pagina erudita" e dalla "trappola della distrazione". Il caso Gérôme, ovvero quello di un artista di transizione, tra il declino della pittura di storia accademica, il grande genere dalle norme immutabili, e la sua reinvenzione eclettica, è dunque posto.
In Gérôme, il mutamento che si verifica nella pittura di storia deve essere osservato attraverso una duplice filiazione. In primo luogo quella di Ingres, per il quale Gérôme nutre ammirazione e che rivisitava la fonte d'ispirazione greca attraverso il prisma dell'intimo e del quotidiano. La seconda filiazione alla quale facciamo allusione, è quella riconducibile a Delaroche, che di Gérôme fu professore e che metteva in scena una storia a scala umana qui, e in cui l'aneddoto si imponeva come il mezzo di accesso privilegiato alla grande storia.
Réception du Grand Condé par Louis XIV (Versailles, 1674), en 1878
Musée d'Orsay
achat,2004
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
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Questo nuovo stile corrisponde altresì alle aspirazioni di un'intera generazione, che, nel 1842, lo storico Prosper de Barante riassumeva con queste parole: "vogliamo conoscere come era l'esistenza dei popoli e degli individui che ci hanno preceduto. Pretendiamo che costoro siano evocati e riportati in vita sotto i nostri occhi". Rispondendo a questo richiamo, Gérôme cominciò a sviluppare, intorno alla metà dell'Ottocento, un singolare equilibrio tra illusionismo documentario e ricomposizione d'immaginazione. Per questo motivo, tra l'universo orientalista del pittore e i suoi quadri di storia, non si venne mai a creare una vera e propria differenza. I due versanti dell'opera condividono una stessa logica di ricostruzione del reale che preserva il potenziale narrativo dell'immagine, alla quale si aggiunge una lavorazione liscia e accurata, prova di efficacia per far sì che lo spettatore diventi un testimone del passato.
Questo equilibrio permanente tra conoscenze storiche, immaginazione e "illusione del reale" costituirà, alcuni decenni dopo, la caratteristica fondamentale delle produzioni cinematografiche hollywoodiane.
Nello studio
La fin de séance, 1886
Santa Ana, collection particulière
© Frankel Family Trust
Gérôme fu un pittore da studio. Fu lì che egli inventò e compose delle immagini pittoriche, arricchite dalla sua memoria ma soprattutto da un immaginario plasmato dalla cultura pittorica, letteraria e teatrale. L'artista era un collezionista, in particolare di oggetti orientali, acquisiti con ogni probabilità durante i suoi viaggi. Le testimonianze descrivono lo studio di Boulevard de Clichy come tappezzato da grandi arazzi, portati dall'Oriente. Luogo di creazione, lo studio divenne, dopo il 1878 e quando l'artista si scoprì scultore, il soggetto delle sue opere, a volte in modo sottile – così gli oggetti appesi alle pareti delle scene orientali raffigurate nelle sue tele richiamavano la disposizione dello studio – poi in maniera più letterale.
Il fascino di Gérôme per i gesti dello scultore, per il suo dominio sulla materia e la sua capacità di darle forma lo fecero rivolgere al mito di Pigmalione che infonde la vita a Galatea. Così egli raffigurò se stesso come scultore, rappresentando, in La fine della seduta la ridondanza fra la presenza del modello in carne e ossa e la statua che sta prendendo forma. Le sue rappresentazioni unirono strettamente i riferimenti al mito antico alla realtà contingente dello studio.
Gérôme en tablier de sculpteur assis à côté du plâtre des Gladiateurs, de face, vers 1890
Paris, Bibliothèque nationale de France
© Bibliothèque nationale de France
Ignoriamo in quale momento ebbe l'idea di lasciare alla Biblioteca nazionale di Francia la riproduzione fotografica del complesso delle sue opere. "Tengo ad avere una collezione delle mie opere il più completa possibile, considerato che ne ho fatto dono tramite testamento alla Biblioteca nazionale", così scrisse ad un collezionista. Gérôme fece realizzare un insieme di bellissime fotografie, di grandi dimensioni, che rappresentavano le opere che aveva scolpito nel suo studio. Anch'egli si fece fotografare con alcune di loro.
Le sfide della diffusione
Peintre de poteries dans l'Antiquité : "Sculpturae vitam insufflat pictura", 1893
Toronto, Art Gallery of Ontario
© 2010 AGO
Dal 1859, Gérôme si legò a uno dei maggiori mercanti della sua epoca, Adolphe Goupil, diventando poi nell'anno 1863 il marito di una delle sue figlie: Marie. Goupil era inoltre uno dei fondatori della casa editrice specializzata in arte che porta il suo nome. Il suo genio fu di aver associato dal 1846 il commercio delle riproduzioni di opere d'arte, allora in pieno sviluppo, a quello di opere pittoriche originali.
Delaroche, il maestro di Gérôme, fu uno dei primi artisti a lavorare per il sistema della riproduzione generalizzata, prima realizzata tramite incisione poi con la fotografia. Gérôme in seguito seppe trarne pienamente vantaggio. Grazie a questo sistema, le immagini delle opere esposte fugacemente al Salone si moltiplicavano in massa e circolavano sempre più velocemente a livello mondiale, trovando nuovi pubblici. Questo commercio delle riproduzioni permetteva agli artisti di raddoppiare la propria notorietà, generando nel contempo profitti considerevoli.
Ebbe anche delle notevoli ripercussioni di carattere estetico. La diffusione delle riproduzioni di pitture realizzate tramite l'incisione e la fotografia modificò anche lo statuto della rappresentazione. Il soggetto si trasformò in immagine, il cui successo era tanto più grande che le pieghe della sua narrazione erano chiare, sottolineate, messe in evidenza.
Sortie du bal masqué, vers 1857-1859
Baltimore, Walters Art Gallery
© The Walters Art Museum, Baltimore
Come lo schernì ironicamente Emile Zola, "evidentemente, il signor Gérôme lavora per l'azienda Goupil, realizza un quadro affinché questo sia riprodotto con la fotografia e l'incisione e se ne vendano migliaia di copie". In effetti, capitò spesso che l'artista riprendesse o copiasse alcune delle sue tele per facilitarne la riproduzione.
Grazie alla loro diffusione, alcune di queste divennero immagini conosciute in tutto il mondo, appartenenti all'immaginario popolare, mentre i dipinti originali, come Uscita dal ballo in maschera, restavano conservati nelle collezioni private.
Gli Orienti di Gérôme
Le prisonnier, 1861
Nantes, Musée des Beaux-Arts
© RMN-Grand Palais / Gérard Blot
Gérôme compie, a partire dal 1855, numerosi viaggi verso l'est del Mediterraneo, quell'altrove vicino che, a metà del XIX secolo, iniziava con la Grecia. L'artista ne fece il soggetto di numerose delle sue opere.
Le sue rappresentazioni orientali sono del tutto singolari; sotto le sembianze dell'esattezza che gli conferiva la sua maniera precisa, rafforzata dal ricorso non dissimulato alla fotografia, testimone dei suoi viaggi, Gérôme realizzò delle scene orientali che attingevano all'immaginario pittorico e letterario del suo tempo. L'Oriente che dipinse Gérôme era quello sognato fin dal 1829 da Victor Hugo, nella sua raccolta di poemi Le Orientali. Le sue immagini "reali" dell'Oriente del suo tempo restavano fedeli a una visione orientalista, in cui si mescolavano sensualità e violenza. Un critico del 1863 descrisse così la sinistra escursione sul Nilo di Il prigioniero: "Qui sta tutto l'Oriente, col suo fatalismo implacabile, la sua sottomissione passiva, la sua tranquillità inalterabile, i suoi insulti impudenti e la sua crudeltà priva di rimorsi."
Bain turc ou bain maure, 1870
Boston, Museum of Fine Arts
© 2010 Museum of Fine Arts, Boston
Le immagini "esatte" di Gérôme parevano tanto più vere che sembravano ricreare senza fallo l'Oriente secondo la visione che ne avevano i suoi contemporanei. Mettevano il timbro dell'autenticità sulla fantasticheria. Eppure egli si prese molte libertà, e poche delle sue opere sono il frutto di un'osservazione diretta. La maggior parte delle sue tele non regge molto un'analisi precisa delle scene rappresentate rispetto al contesto storico, geografico o etnografico di cui si fanno forti.
Gérôme seppe dipingere dell'Oriente un'immagine immutabile, intatta, offerta agli sguardi degli spettatori occidentali. Egli riuscì così a sedurre un pubblico che osservava estasiato le rappresentazioni stereotipate di un altrove immutato.
Gérôme scultore: "Il Padre policromo"
Tanagra, en 1890
Musée d'Orsay
1890
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / René-Gabriel Ojéda
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La tridimensionalità attirò presto l'interesse di Gérôme, ma egli giunse tardivamente alla scultura, all'età di cinquantaquattro anni e con una posizione già solida, con la serietà e il fervore di un giovane artista. Legatosi molto presto con scultori rinomati (Bartholdi, Fremiet), presenta nel 1878 i Gladiatori, la sua prima scultura, monumento "archeologico" senza concessioni, che riprende il motivo del gruppo centrale di Pollice verso.
Questa prima tappa di un gioco di specchi continuo fra pittura e scultura che durerà fino alla fine della sua carriera, è inserita nell'estetica del realismo accademico all'epoca dominante e si limita alla monocromia di un materiale nobile della scultura: il bronzo.
È a partire dal 1890, con Tanagra, che Gérôme opera uno sconvolgimento radicale del proprio lavoro verso la vera sfida della sua opera scolpita: la policromia. Il colore applicato alla scultura moderna, imitazione della policromia delle sculture antiche, aveva suscitato accesi dibattiti durante la prima metà del XIX secolo. Gérôme, curioso instancabile, vide in essa la possibilità di rinnovare la disciplina. È nella pittura dei marmi che egli diede la sua piena misura, utilizzando una pittura a cera pigmentata che pensava essere prossima all'antico.
Corinthe, avant 1903
Musée d'Orsay
Acquis par préemption, 2008
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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I sorprendenti simulacri illusionisti di Gérôme confondono così la frontiera fra policromia popolare e dotta, e pongono senza giri di parole fin dall'inizio del XX secolo la questione dei limiti della rappresentazione. Questa pratica audace e priva di complessi del colore, l'erotismo accettato consapevolmente di questi marmi dipinti valsero agli "idoli" moderni di Gérôme critiche aspre.
Alla fine degli anni Novanta del 1800, l'artista si dedica sempre più alla scultura, presentando peraltro con regolarità statuine destinate all'edizione (Bonaparte che entra al Cairo, Tamerlano). È una scultura cui Gérôme stava lavorando al momento della sua morte, la più spettacolare, Corinto, a costituire il suo testamento artistico.