Exposition au musée

Léon Spilliaert (1881-1946). Luce e solitudine

Dal 13 Ottobre 2020 al 10 Gennaio 2021
Léon Spilliaert
Digue la nuit. Reflets de lumière, 1908
Collection Musée d'Orsay - Département des Arts Graphiques du musée du Louvre, Paris
Achat, 2011
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
Vedi il bando dell'opera

Léon Spilliaert, luce e solitudine

Léon Spilliaert, luce e solitudine

Léon Spilliaert (1881-1946) ha realizzato la maggior parte della sua opera in Belgio, nella città natale di Ostenda, sulle rive del Mar del Nord. Pressoché autodidatta – frequenta solo pochi mesi l’Accademia delle belle arti di Bruges – si forma a contatto con il bibliofilo, collezionista e libraio brussellese Edmond Deman. Nutritosi delle letture di Friedrich Nietzsche, Lautréamont, Edgar Allan Poe, Maurice Maeterlinck, Emile Verhaeren – al quale si lega di una profonda amicizia – Spilliaert è un artista inclassificabile, vicino al simbolismo, ma anche all’espressionismo e talvolta ai limiti dell’astrattismo.
Tra il 1900 e il 1917, la sua opera è dominata da una nota ‘’cupa e grave’’. Con l’inchiostro, il suo medium di predilezione, egli disegna, esclusivamente su carta, figure fantomatiche e solitarie, volti-maschere dallo sguardo perso e allucinato, interni e paesaggi in cui la luce nasce dall’oscurità.
La mostra si concentra su questi primi decenni, intensi e radicali, dell’attività di Spilliaert. In ordine cronologico e tematico, essa riunisce opere che sono altrettante variazioni scaturite dalle ossessioni e dai quesiti dell’artista stesso.

Spilliaert, lettore e illustratore di Verhaeren e di Maeterlinck

Spilliaert, lettore e illustratore di Verhaeren e di Maeterlinck

Léon Spilliaert-Digue la nuit
Léon Spilliaert
Digue la nuit, 1908
Paris, musée d'Orsay, conservé au département des Arts Graphiques du musée du Louvre
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / DR

Spilliaert incontra il poeta Verhaeren (1855-1916) grazie all’editore Edmond Deman. Tra i due nasce una profonda amicizia. Verhaeren, più vecchio di una generazione, è come un padre spirituale per l’artista, lo incoraggia e lo introduce nella scena letteraria parigina nel 1904, diventando uno dei suoi primi sostenitori e collezionisti.
In una lettera scritta a Ostenda il 26 giugno 1913, Spilliaert esprime l’intensità della loro amicizia in questi termini: ‘’Mentre vi lasciavo pregavo dentro di me: Signore preservatemi dalle ore buie e grigie, fate che io sia sempre come se avessi appena incontrato Verhaeren e cioè in uno stato di amore e di esaltazione’’.
Pur non avendo invece mai incontrato Maeterlinck (1862-1949), Spilliaert è vicino, nelle sue opere giovanili, all’atmosfera cupa e stilizzata delle prime pièce teatrali del suo compatriota e le illustra in un’edizione per bibliofili commissionatagli dallo stesso Edmond Deman. Il suo universo suggestivo e misterioso, dominato dalla morte, gli ispirerà anche dei fogli autonomi intitolati Maeterlinck Théâtre.

Intérieur [Interno]

Intérieur [Interno]

In riferimento a una pièce di Maeterlinck intitolata Interno (1894) e illustrata da Spilliaert, è stata riunita una serie di opere che evocano la drammaturgia avanguardista di fine Ottocento.
Lugné-Poe, fondatore del Théâtre de l'OEuvre, che aveva messo in scena le pièce di Maeterlinck e di Ibsen a Parigi, insieme alla partecipazione degli artisti Nabis, voleva rendere visibile ‘’la vita delle anime’’.
Spilliaert dipinge dei personaggi solitari, disincarnati, fantomatici, spesso lugubri, in spazi chiusi e opprimenti. Miseriae Tutta sola richiamano l’universo espressionista e tormentato di Edvard Munch, mentre La bevitrice di assenzio, soggetto moderno dipinto da Manet, Degas, Toulouse-Lautrec, Félicien Rops e Picasso, sembra venire dall’oltretomba per vampirizzare lo spettatore con il suo sguardo allucinato. Altre volte, invece, le figure sono prive di sguardo, come quella fanciulla spettrale seduta di fronte al muro, tra le finestre. È un universo infestato dalla morte, più che mai presente nella camera da letto in cui il bianco delle lenzuola ricorda quello di un drappo funebre.

Autoritratti da sonnambulo

Autoritratti da sonnambulo

Come molti artisti, Spilliaert trova in se stesso un modello a portata di mano e realizza numerosi autoritratti tra i suoi ventuno e ventotto anni. I primi autoritratti, risalenti al 1902-1903, restituiscono fedelmente l’aspetto acerbo e rude della sua fisionomia tormentata. Egli esplora le possibilità del genere con grande intensità fino agli anni 1907-1908, periodo decisivo che vede nascere la maggior parte di questa produzione.
Si rappresenta sempre con indosso una giacca scura e un colletto bianco, e mai in versione artista bohémien. A volte sceglie un’inquadratura ravvicinata, che mette in risalto l’intensità del suo sguardo intento a scrutarsi. Altre volte, invece, si inserisce in uno spazio più vasto: uno spazio spesso opprimente per via del gioco di incastri delle cornici e della ripetizione di linee rette che sembrano rinchiuderlo in una gabbia. Si disegna circondato da oggetti familiari ma inquietanti: cappotti-salme, orologi ed effemeridi che ricordano l’implacabile scorrere del tempo, specchi-voragini pronti a risucchiare la sua esile immagine... Pur ritraendosi a volte dinanzi al cavalletto, ciò che gli interessa non è tanto la rappresentazione dell’artista quanto l’esplorazione della sua identità, in solitudine e silenzio. Questa ricerca di sé lo porta a una deformazione mostruosa ai limiti dell’allucinazione notturna, l’autoritratto da sonnambulo.

Spazi di Ostenda, vertigine dell’infinito

Spazi di Ostenda, vertigine dell’infinito

Ostenda è uno dei soggetti principali dell’opera di Spilliaert. L'artista trae dalla sua città natale parte della propria forza suggestiva e della propria drammaturgia. Le sue lunghe deambulazioni solitarie lungo il litorale gli ispirano delle marine cupe eseguite al lavis di inchiostro, in cui la linea dell’orizzonte alta accresce l’immensità del mare, riflesso dei suoi stati d’animo tormentati.
Spilliaert si interessa anche al contrasto tra il mare e la città che caratterizza Ostenda. Il semplice paese di pescatori è diventato una località balneare mondana. L’architettura rettilinea delle costruzioni iniziate dal re Leopoldo II – Kursaal, diga o Gallerie reali – sancisce l’ingresso della linea retta nella produzione dell’artista, che semplifica al massimo composizione e forma.
Il motivo puramente geometrico per non dire minimalista accentua l’atmosfera generale di solitudine e di angoscia, specchio del suo vissuto. La notte, le masse scure degli edifici che si diluiscono nelle pallide luci dei lampioni creano una sensazione di spaesamento, di vertigine dell’infinito.

Figure di Ostenda, il teatro delle ombre

Figure di Ostenda, il teatro delle ombre

Nel 1908-1909, Spilliaert affitta per qualche mese un atelier sul lungomare dei Pêcheurs, la cui baia gli offre ampie vedute sul porto. Ad attrarre la sua attenzione non è l’effervescenza della città portuale, né il suo aspetto mondano di località balneare, né le dure condizioni dei lavoratori, bensì le mogli dei pescatori, che egli trasforma in archetipi dell’attesa. Queste ombre, spesso di spalle, che scrutano il mare dalle banchine, si stagliano sull’acqua come sagome. Che siano sole o in gruppo, le figure sembrano sempre chiuse nella loro malinconia e solitudine.
Spilliaert riprende questa stessa semplicità formale quando si interessa al tradizionale carnevale di Ostenda. Sotto i loro drappeggi simili a lenzuola funebri o nei loro costumi da domino, i protagonisti si trasformano in figure monumentali che sembrano fluttuare nell’aria conferendo alla scena una strana teatralità.

Les Serres chaudes [Serre calde]

Les Serres chaudes [Serre calde]

Léon Spilliaert-Les dominos
Léon Spilliaert
Les dominos, en 1913
Musée d'Orsay
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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Tra il 1917 e il 1920 Léon Spilliaert esplora la litografia. Nel 1918 realizza Les Serres chaudes [Serre calde] a partire dalla raccolta di poesie di Maurice Maeterlinck pubblicata nel 1889. Oltre a questa serie grafica, le sue immagini di interni disegnate negli anni precedenti, con le loro vetrate, le loro finestre dai vetri chiusi sulla notte e le loro piante verdi che invadono lo spazio, evocano l’universo malinconico delle ‘’serre di noia’’, delle ‘’campane di vetro’’ e altre metafore dell’anima del poeta.
All’inizio della Prima guerra mondiale, Spilliaert entra nella guardia civile ma viene rapidamente esonerato. Nel 1916, anno della perdita del suo amico Emile Verhaeren, sposa Rachel Vergison; nel 1917 nasce la loro figlia Madeleine. A poco a poco si delinea allora una svolta nel suo lavoro, con il progressivo abbandono della nota ‘’cupa e grave’’. Quello realizzato per Serre calde è forse l’ultimo lavoro collegato all’universo suggestivo e angosciato del simbolismo.