Oltre le stelle. Il paesaggio mistico da Monet a Kandinsky
Introduzione
Il paesaggio è poco dibattuto nell’ambiente simbolista sebbene l’impressionismo si fosse appropriato del soggetto per inventare una nuova pittura dei sensi.
Eppure, è proprio tramite la sua rappresentazione che alcuni artisti esprimeranno i propri quesiti spirituali.
Di fronte al pensiero positivista che inneggia alla sperimentazione, e in un mondo in piena trasformazione, gli artisti, travolti da una sorta di idealismo, arrivano a interrogarsi sulle proprie origini, sulla propria cultura religiosa, sul rapporto dell’uomo con la natura. Quest’ultima diviene il luogo dei quesiti interiori, il tramite verso l’esperienza mistica.
Diffusosi sul finire del XIX secolo, il misticismo è un fenomeno legato a tutte le religioni e le credenze, che permette di accostarsi ai misteri dell’esistenza attraverso l’unione con la natura. Questa mostra si propone di analizzare in che modo il misticismo abbia influenzato la pittura paesaggistica all’alba del XX secolo fino a favorire la nascita dell’astrattismo.
Le diverse sezioni in cui si suddivide la mostra svelano opere di artisti di varie culture, che indagano i concetti di trascendenza e immanenza della natura. Articolata attorno all’esperienza plastica di Monet, la prima sezione cala lo spettatore nel contesto ponendolo di fronte all’opera d’arte quale fonte di contemplazione.
Tuttavia, numerosi artisti partono dal motivo del paesaggio per tradurre la propria ricerca mistica. Così i Nabis con il tema del bosco sacro, propizio alla meditazione.
La seconda sezione approfondisce la nozione del divino nella natura attraverso opere della corrente sintetista, simbolista e divisionista. L’iconografia attinge ai registri cristiani e panteistici.
Nella terza sezione, la pittura vivace e singolare degli artisti canadesi degli anni 1910-1930 narra la storia pittorica del grande Nord influenzata dagli spazi naturali scandinavi. Paesaggio è anche la notte reale o interiore della quarta sezione, notte luminosa, come in Van Gogh, malinconica o drammatica quando subentra il male.
Al contrario, il pittore mistico Dulac spiana la strada all’universale. L’ultima sezione affronta ciò che oltrepassa l’uomo e lo conduce al di là delle stelle: il cosmo e la sua luce intersiderale.
Questo percorso espositivo vuole essere l’espressione di ciò che Kandinskij chiama «i cercatori di interiorità nell’esteriorità».
Contemplazione
Monet, Van Gogh o ancora Klimt hanno prodotto opere che suscitano nello spettatore una sensazione di trascendenza, mentre l’oggetto tende a scomparire a beneficio dei colori.
Le serie di Monet sono un esempio della capacità di un’opera di destare la contemplazione: i covoni, la cui luce cambia a seconda del periodo dell’anno, possono essere visti come una metafora della vita.
In particolare, Evelyn Underhill, filosofa inglese e cattolica, e Wassily Kandinskij ci hanno lasciato nei loro scritti ‒ rispettivamente Misticismo nel 1911 e Sguardi sul passato e altri testi,nel 1913 ‒ diverse testimonianze della potenza emotiva dei Covoni di Monet. Allo stesso modo, Clémenceau vedeva nella serie dei Pioppi una «poesia panteista».
Come la maggior parte di questi artisti, Henri Le Sidaner non rivendicò alcuna spiritualità particolare: il suo Giardino bianco al crepuscolo esprime innanzitutto la ricerca di tranquillità che caratterizzava questa «sorta di mistica senza fede», come la chiamava il romanziere Gabriel Mourey.
Anche Odilon Redon, con Alberi su sfondo giallo interpella la sensibilità dell’osservatore con uno scenario onirico. La ricerca formale di questi artisti aprirà la strada all’astrazione teorizzata da Kandinskij nella sua opera Lo spirituale nell’arte, 1911-1912.
Difatti, con le sue forme e i suoi colori in cui l’oggetto scompare, la pittura astratta invita a una sorta di passeggiata contemplativa che permette allo spettatore di «dimenticare se stesso».
Boschi sacri
Il tema del «bosco sacro», adottato da Paul Gauguin e i pittori Nabis durante i loro soggiorni a Pont-Aven, è uno degli esempi più significativi di interpretazione simbolista, profondamente spirituale, del paesaggio.
Questa affonda le sue radici nella poesia «Corrispondenze» di Charles Baudelaire, che assimila la natura a un tempio e la vita umana a un sentiero in mezzo a «una foresta di simboli».
Gli alberi, dunque, sono visti come delle colonne che collegano il mondo materiale a una realtà superiore. Lì in mezzo, l’uomo-pellegrino avanza lungo il suo sentiero in cerca di una spiritualità che si riflette nella natura.
Investito dall’invisibile e dal soprannaturale, il bosco può ugualmente diventare il luogo in cui si manifestano delle visioni religiose, come nella Lotta di Giacobbe con l’angelo di Maurice Denis.
La visione mistica dei Nabis trova eco in uno stile fortemente innovativo: la composizione sintetica, le forme piatte e i colori accesi e irreali sono i vettori di una «visione dell’anima» vicina all’astrattismo.
Charles Baudelaire, Corrispondenze, 1857
«La Natura è un tempio dove colonne viventi
lasciano talvolta uscire confuse parole;
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che da lontano si confondono
In una tetra e profonda unità,
vasta come il buio e la luminosità,
profumi, colori e suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di infanti
dolci come oboi, verdi come prati,
- e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che hanno l’espansione delle cose infinite,
come l’ambra e il muschio, il benzoino e l’incenso
che cantano gli slanci dello spirito e dei sensi».
Il Divino nella natura
La ricerca spirituale coinvolge l’artista di fine Ottocento con una risonanza diversa a seconda della sua educazione religiosa, della cultura del suo Paese o delle sue reti di influenze.
Alla ricerca di tempi primitivi presumibilmente più autentici o di un idealismo che va a contrastare la realtà positivista del momento, i pittori hanno visto nel paesaggio il mezzo per tradurre le domande dell’uomo riguardo alla Creazione.
Se alcuni artisti assimilano le metafore cristiane inserendole nel paesaggio locale (il campo in Van Gogh, il villaggio in Gauguin) per esprimere i propri quesiti interiori, altri, come Odilon Redon, traducono la loro ricerca personale nel paesaggio immaginario e onirico.
Diversamente, i divisionisti, come Segantini o Pellizza da Volpedo, lasciano che sia il paesaggio ad esprimersi per evocare il divino in ogni aspetto del creato.
Questa visione panteista che sottolinea l’immensità della natura rispetto alla piccolezza dell’uomo è spesso espressa da allegorie che trovano la loro collocazione nel paesaggio.
I simbolisti, come Pierre Puvis de Chavannes e Alphonse Osbert, hanno favorito lo studio della natura come «paesaggio dell’anima» in cui la nozione di divino può vivere in armonia con il contesto naturale.
L’idea del Nord
Nelle contrade del Nord Europa, artisti come Willumsem, Strindberg o Fjaestad hanno utilizzato la natura come mezzo di espressione per tradurre i propri quesiti di ordine mistico.
Un po’ più tardi, in Canada, un gruppo di giovani pittori scoprono gli artisti scandinavi durante una mostra a Buffalo, nel 1913, e realizzano che il loro modo di rappresentare i grandi spazi incontaminati si avvicina moltissimo a quelle che sono le proprie aspirazioni.
Gli stessi pittori creeranno nel 1920 il cosiddetto Gruppo dei Sette (Harris, MacDonald, Lismer, Varley, Carmichael, Johnston, Jackson, senza Tom Thomson morto prematuramente) e svolgeranno un ruolo importante nella definizione, inedita per il Canada, di uno stile di rappresentazione proprio dei paesaggi nordamericani.
Attirati dai luoghi isolati, atemporali, privi di qualsiasi presenza umana, essi concepiscono i paesaggi come immagini simboliche, non esenti da rivendicazioni identitarie. Indagano il rapporto dell’uomo con la natura, includendovi una dimensione sacra.
In effetti, diversi membri del gruppo erano attratti dalla teosofia, disciplina propugnata negli Stati Unita da Héléna Blavatsky.
Questa ricerca spirituale si ritrova in Emily Carr, originaria della Columbia Britannica, vicina ad Harris e affascinata dalle culture primitive. I suoi dipinti di luoghi naturali dei nativi americani fanno di lei un’artista militante, che non ha mai smesso di interrogarsi sulla propria identità rispetto alla cultura del grande Nord.
Ancora attivi ben dopo il 1918, Harris e Carr evolveranno verso uno stile formale vicino all’astrattismo.
La Notte
Tempo del sogno e del mistero, la notte ha sempre sedotto gli artisti. La generazione dei simbolisti si è particolarmente ispirata alle atmosfere notturne per dar luogo a interpretazioni a più livelli.
La notte non è solo quella reale, soggetto di molti studi sulla luce, è anche la notte «dell’anima», carica di significati spirituali, simbolo di morte, silenzio, solitudine, nonché luogo della trascendenza e mezzo possibile di unione con il Divino.
Precursore di queste visioni, James Abbott McNeill Whistler, rappresentante del movimento «Estetico» inglese, era solito andare in barca sul Tamigi per poi dipingere, una volta nell’atelier, quei Notturni il cui paesaggio è trasfigurato in una trascrizione di stati d’animo.
In Van Gogh, come anche nel pittore scandinavo Eugène Jansson, la contemplazione della volta celeste durante la notte associa lo studio dei giochi di luce a una ricerca interiore dalla connotazione fortemente spirituale.
Ogni sentimento di speranza sembra svanire quando le tenebre diventano un simbolo di desolazione o di morte, come nelle visioni malinconiche di Bruges dipinte da Fernand Khnopff. Henri Le Sidaner si è ugualmente ispirato al tema delle «città morte» a Bruges ma anche a Venezia, raffigurata nel silenzio crepuscolare.
Ne Il cieco di Ejnar Nielsen, il paesaggio spoglio e il sentiero tortuoso richiamano uno stato di accecamento nel contempo fisico e spirituale, vicino a quello di una notte «interiore».
Charles-Marie Dulac
Charles Dulac fu pittore decoratore prima di affermarsi nel paesaggio. Affetto da una malattia incurabile legata all’uso della biacca di piombo, sapendosi condannato, si converte a un cattolicesimo radicale che lo porta ad impegnarsi nella comunità francescana.
A partire da questo momento, la sua vocazione è di rappresentare il carattere sacro della natura nello spirito di San Francesco.
Nel 1894, dedica il suo lavoro a un ciclo di litografie, Il cantico delle creature che, tre anni più tardi, ispirerà allo scrittore J.-K. Huysmans un testo elogiativo in cui Dulac è annoverato tra gli artisti più innovatori in materia di arte sacra.
Svariati soggiorni di Dulac ad Assisi generano dei dipinti a olio in cui gli effetti di luce sui monti circostanti o ancora il gioco dell’aria tra le nuvole al di sopra del Tevere traducono il sentimento di trascendenza provato dall’artista.
Questi paesaggi vanno osservati insieme, come variazioni di uno stesso tema: quello del legame tra l’uomo, il creato e Dio.
Paesaggi devastati
La notte interiore dell’uomo in cui si annida il male riecheggia dolorosamente all’inizio del Novecento in seguito al dramma della Prima guerra mondiale.
Il Canada non è risparmiato dalle colossali perdite di vite umane causate dal conflitto, il che spinge alcuni membri del futuro Gruppo dei Sette a dare il loro contributo come pittori di guerra nel «Canadian War Memorials Program» destinato alla memoria dei defunti.
Varley e Jackson dipingono paesaggi desolati, feriti, che traducono domande quali: valeva la pena sacrificarsi? Da questi paesaggi dalle tonalità ora monocrome ora vivaci, alcuni artisti traggono delle composizioni di una forza mistica ‒ nella sua accezione primaria di «senso nascosto» ‒ al limite dell’astrazione (Vallotton) o del fantastico (Nash).
L’uomo, attore e vittima, è tuttavia presente: errabondo in Chagall, o spettro della sua stessa distruzione in Varley. Pochi anni prima, il simbolista Degouve de Nuncques dipingeva la «morte-paesaggio» che Schiele illustrò in un ambiente glaciale.
Cosmo
Scienza e spiritismo si incontrano quando si tratta di comprendere l’Universo, altro paesaggio mistico.
Influenzati da alcuni divulgatori scientifici quali furono, in Europa, l’astronomo e scrittore Camille Flammarion, i pittori esplorarono lo spazio in quanto luogo dell’immaginario universale.
In America, Arthur Dove e Georgia O'Keeffe approfondiscono la loro ricerca, spirituale e stilistica al tempo stesso, lavorando le nuvole fino all’astrazione con colori che evocano lo spazio intersiderale.
Munch fa esplodere il sole come l’ultima stella che illumina la Terra prima di fondersi con il cosmo.
Per Maurice Chabas, vicino a scrittori spiritisti come Léon Bloy o Edouard Schuré, celebre per la sua opera I grandi iniziati pubblicata nel 1889, l’Universo è il luogo dello spirito, dove errano le anime dei defunti.
Hilma af Klint, appassionata di occultismo, disegnava dopo aver fatto delle sedute spiritiche. Retablo ci proietta nell’incandescenza del sole cosmologico. In maniera più razionale, l’artista ceco Wenzel Hablik rivisita la sua passione per i cristalli per dar vita alla rappresentazione di un Universo ordinato, strutturato, seppure scintillante, nella sua Notte stellata.
Questa ridda dello spazio è ripresa da Augusto Giacometti con lo stesso tema.
La notte stellata non potrebbe essere spiegata senza l’intervento di una mano magistralmente rappresentata nel 1902 da George Watts con Il seminatore dell’Universo, che ci trasporta ‒ in un movimento simbolista ‒ nel turbinio della Creazione per farci toccare lo spazio oltre le stelle.