Spettacolare Secondo Impero, 1852-1870
Spettacolare Secondo Impero
Napoléon III, empereur des Français, 1862
Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon
© Château de Versailles, Dist. RMN-Grand Palais / Christophe Fouin
Lo sfarzo della “festa imperiale” e l’umiliante sconfitta del 1870 contro la Prussia hanno a lungo offuscato la reputazione di Napoleone III e del Secondo Impero (1852-1870), ridotto a un’epoca di piaceri corrotta dal denaro, secondo l’immagine per niente edificante che ci consegna Victor Hugo in esilio e come la descriverà in seguito Emile Zola nel suo ciclo di romanzi Rougon-Macquart.
Gli anni 1850-1860, segnati da una congiuntura economica favorevole e dalla stabilità del regime imperiale, furono senz’altro un periodo di prosperità senza pari nel XIX secolo, caratterizzato da abbondanza oltre che da svariate celebrazioni – politiche, economiche, religiose e artistiche.
L'imperatore impressiona l'Europa facendo rivivere i fasti di Versailles e rinsalda l’adesione del popolo al suo regime attraverso una gran quantità di feste.
La borghesia trionfante moltiplica i segni esteriori della ricchezza e, affascinata dalla sua stessa immagine, alimenta una vera e propria industria del ritratto.
La vita parigina procede al ritmo dei Salon, dei grandi balli organizzati dalla corte e dei numerosi spettacoli offerti dai teatri.
L'Impero francese, che nel frattempo ha ritrovato il suo posto sulla scena internazionale grazie a una politica estera offensiva, esulta durante le Esposizioni universali nel 1855 e 1867, e, con esso, l’industria francese del lusso e l’eclettismo dei creatori.
Per il suo trentesimo anniversario, il museo d'Orsay propone un nuovo approccio a questo Secondo Impero straripante di innovazioni e di quella “festa imperiale” che reca in sé il germe della nostra società dei consumi e dello spettacolo.
La commedia del potere
Eugénie, impératrice des Français, 1855
Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon
© Photo R.M.N. - Gerard Blot © RMN-Grand Palais (Château de Versailles) / Gérard Blot
Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873), nipote di Napoleone I, dopo anni di esilio e di azioni mancate, è eletto primo presidente della Repubblica francese nel dicembre 1848.
Il 2 dicembre 1851, anniversario della battaglia di Austerlitz e dell’incoronazione dello zio, avviene il colpo di Stato con cui il "principe-presidente" fa scivolare la repubblica verso l’impero ereditario. Luigi Napoleone placa la resistenza, imprigiona gli oppositori, mette a tacere la stampa, ma ristabilisce il suffragio universale (maschile).
Dopo un voto massiccio dei francesi, l’Impero è restaurato il 2 dicembre 1852.
Regime legittimato dal voto popolare, il bonapartismo di Napoleone III “consiste nel ricostruire la società francese sconvolta da cinquant’anni di rivoluzioni, nel riconciliare ordine e libertà” (Luigi Napoleone Bonaparte, Le idee napoleoniche, 1839).
Per rinsaldare il favore del popolo attorno alla sua persona, l'imperatore si serve dell’immagine (pittura, fotografia, illustrazione) per commemorare e divulgare i grandi momenti di una “mossa imperiale” moderna e tradizionale al tempo stesso.
La propaganda imperiale si sviluppa anche attorno alla figura della giovane imperatrice Eugenia (1826-1920). Nel gennaio 1853, Napoleone III annuncia pubblicamente il loro matrimonio con una dichiarazione ufficiale che rompe con le antiche usanze.
Questo gesto romantico contribuisce alla popolarità dell’imperatore; dal canto suo, l’imperatrice, dedita alle opere di carità, diventa rapidamente un personaggio chiave del regime.
Sfarzo dinastico
Réception des ambassadeurs siamois par l'empereur au palais de Fontainebleau, 1861-1864 (Salon de 1865)
Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon
© Photo RMN - Droits réservés © RMN-Grand Palais (Château de Versailles) / Droits réservés
Il matrimonio dell’imperatore nel 1853 e la nascita del principe imperiale nel 1856 rispondono alle aspettative dinastiche.
In occasione di questi grandi momenti politici e religiosi, il duca di Cambacérès, grande maestro delle cerimonie, riesuma l’etichetta di Primo Impero per organizzare sontuose celebrazioni finanziate con i proventi del ministero della Maison dell’imperatore.
Per il battesimo del principe imperiale, cui fa da padrino il papa, la spesa è esosa (150.000 franchi). Per l’occasione, viene ripristinata la berlina a otto cavalli dell’incoronazione di Carlo X e Notre-Dame di Parigi è interamente decorata da Viollet-le-Duc.
“Questo battesimo equivale a un’incoronazione!”, avrebbe affermato l’imperatore.
Riallacciandosi all’antica usanza che voleva che la Città di Parigi offrisse una culla al futuro sovrano, così com’era avvenuto nel 1811 per il re di Roma, nel 1855 l’amministrazione decide di affidarne la realizzazione all’architetto comunale Baltard.
Tra gli oggetti più preziosi del secolo, questa culla è anche uno dei più bei pezzi di arredamento del Secondo Impero per la sua originalità e compiutezza, a cui hanno lavorato i migliori artisti dell’epoca.
La morte del re Girolamo nel 1860 e del duca di Morny – fratellastro dell’imperatore – nel 1865, danno luogo a cerimonie dinastiche e funerali maestosi, nel complesso degli Invalides per il primo e nella chiesa della Madeleine per il secondo.
Celebrazioni e allestimenti effimeri
Projet de chapiteau pour une fête impériale, vers 1870
Musée d'Orsay
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Alexis Brandt
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Prima ancora di ristabilire l’Impero, Luigi Napoleone Bonaparte mostra la sua volontà di coinvolgere i parigini e la popolazione in genere nelle grandi celebrazioni che segnano l’ascesa del nuovo regime.
L'imperatore afferma lo sfarzo del regime tramite eventi di carattere popolare. Il 15 agosto, giorno di San Napoleone, torna ad essere un giorno di festa nazionale come all’epoca del Primo Impero e, per l’occasione, la capitale si riveste di pomposi allestimenti effimeri, come vuole la tradizione. br />
Le grandi vittorie militari sono anch’esse il pretesto di sfilate trionfali, come quella del 14 agosto 1859, al rientro a Parigi delle truppe della campagna d’Italia, lungo un percorso costellato di archi di trionfo, portici e bandiere. Centomila uomini sfilano da place de la Bastille a place Vendôme, dove vengono affittati dei balconi da cui ammirare il corteo degli zuavi feriti ma vittoriosi.
Ogni nuova stazione ferroviaria, ogni nuova opera urbana è inaugurata con la stessa profusione di strutture in legno e tele dipinte.
Questi momenti di grande entusiasmo – autentici plebisciti festivi – rafforzano l’adesione dei francesi al regime.
È con lo stesso sfarzo che, il 16 novembre 1869, l’imperatrice inaugura in pompa magna il canale di Suez, grande opera dell’Impero fuori dai propri confini.
Le residenze imperiali
Pochi giorni dopo il colpo di Stato, Luigi Napoleone Bonaparte lascia il palazzo presidenziale dell’Eliseo per stabilirsi alle Tuileries, dimora dei re di Francia.
Uno dei suoi primi cantieri è il completamento del Louvre e delle Tuileries, destinati ad ospitare sia la residenza dei sovrani che il ministero di Stato e il museo.
Negli antichi palazzi (Saint-Cloud, Fontainebleau, Compiègne), i sovrani si appropriano dei prestigiosi arredi storici. L’imperatrice Eugenia si preoccupa di apportare il comfort moderno pur conservando il ricordo della regina Maria Antonietta, da cui è affascinata.
Canapé de style Louis XVI, livré en 1855
Paris, Mobilier national
© Collection du Mobilier national © Isabelle Bideau
Così, ella si circonda di alcuni pezzi dell’arredamento reale del XVIII secolo, recuperati dai mercanti o nei magazzini del Garde-Meuble imperiale, e li abbina a sontuose creazioni contemporanee provenienti dalle manifatture (Gobelins, Sèvres, Beauvais) o dai migliori ebanisti (Fourdinois), copie esatte di famosi mobili di origine reale o varianti più libere in stile Luigi XV e Luigi XVI.
A metà del suo regno, l'imperatrice affida all’architetto Hector Lefuel la costruzione di un nuovo appartamento, edificato sulle terrazze delle Tuileries e disposto secondo lo stesso gusto.
Questa moda, che è poi quella di un’intera epoca, segna a tal punto il regno che la nozione di stile “Louis XVI-Imperatrice” passerà ai posteri.
Ritratti di una società
Napoléon III, 1865
Compiègne, Musée national du château
© PHOTO RMN- THIERRY LE MAGE © RMN-Grand Palais (domaine de Compiègne) / Thierry Le Mage / DR
“Il flusso di ritratti aumenta di anno in anno e rischia d’invadere per intero il Salon. La spiegazione è semplice: ormai, solo chi desidera il proprio ritratto acquista ancora dei quadri”, scrive il giovane critico Emile Zola, fustigando una società narcisista.
All’inizio del Secondo Impero, sono pochi gli artisti in grado di rivaleggiare con i capolavori di Ingres e Winterhalter.
Durante il decennio 1860-1870, la nuova generazione di pittori realisti – Manet, Tissot, Degas o Cézanne – ambisce a rinnovare il genere e a farsi conoscere attraverso dei ritratti in piedi che innalzano i modelli borghesi al rango di personaggi storici, mentre Cabanel ci consegna un’immagine intima e moderna del sovrano spesso poco compresa.
D’altra parte, i fotografi Nadar o Mayer e Pierson si rifanno alla tradizione pittorica per nobilitare i loro modelli. I progressi della tecnica permettono lo sviluppo di una vera e propria industria del ritratto fotografico: solo a Parigi, si contano ben trecentocinquanta studi professionali alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento, tra cui primeggia quello di Disdéri, che nel 1854 brevetta il cosiddetto procedimento del “portrait-carte”.
Dipinto, scolpito o fotografato, pubblico o privato, il ritratto moderno oscilla tra il rispetto delle convenzioni sociali e la libera espressione del temperamento dell’artista e del modello.
La villa pompeiana e il gusto neogreco
Répétition du "Joueur de flûte" et de la "Femme de Diomède" chez le prince Napoléon, en 1861
Musée d'Orsay
Legs par la princesse Mathilde, 1904
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Alexis Brandt
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La società del Secondo Impero spettacolarizza gli ambienti in cui vive. Gli interni, luoghi di rappresentazione, diventano gli scrigni dei fantasmi del passato o dell’altrove per una borghesia intrisa di romanticismo.
Tra le tendenze più in voga, il gusto per l’Antichità classica e lo stile neogreco conoscono un rinnovato interesse.
La villa pompeiana del principe Napoleone Gerolamo, cugino dell’imperatore, ne è l’esempio più compiuto. Opera d’arte sotto ogni aspetto, la villa è costruita al numero 18 dell’avenue Montaigne dall'architetto Alfred Normand per il principe e la sua amante, l’attrice tragica Rachel.
L'interno sintetizza l’approccio, fino allora approssimativo, ai modelli greci e pompeiani. Nonostante la scomparsa di Rachel nel 1859, la villa è inaugurata in occasione di uno spettacolo serale nel febbraio 1860 in presenza dei sovrani e della principessa Matilde, cugina dell’imperatore. Gli attori della Comédie-Française vi recitano diverse pièces di Emile Augier e Alexandre Dumas.
Ben presto abbandonato dal suo committente, non apprezzato dalla sua giovane sposa, Maria Clotilde di Savoia, l'edificio è venduto nel 1866, deteriorato durante la Comune nel 1871 e raso al suolo nel 1891.
Riflesso dell’eclettismo dell’epoca, quest’opera sconsiderata si trovava vicino alla casa moresca di Jules de Lesseps e a un palazzo neogotico dell’architetto Jean-Baptiste Lassus, situati rispettivamente al numero 22 e 20 della suddetta strada.
Neogotico e rinascita cattolica
Le château de Pierrefonds, vers 1868
Musée départemental de l'Oise, Beauvais
Dépôt du musée d'Orsay
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
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Il Secondo Impero rappresenta il culmine delle ricerche sullo stile gotico quale è esaltato da Viollet-le-Duc, teorico e “restauratore” dei grandi monumenti della Francia medievale, come il castello di Pierrefonds o le fortificazioni di Carcassonne.
È nello stesso spirito che l’architetto preferito della coppia imperiale disegna per il Tesoro di Notre-Dame di Parigi il grande ostensorio e il reliquiario della Santa Corona di spine.
Eseguito dall’orafo Froment-Meurice, questo capolavoro è presentato all’Esposizione universale di Londra nel 1862. Viollet-le-Duc è inoltre l’autore dei disegni del baldacchino processionale realizzato dalla Manifattura di Beauvais per la cattedrale di Marsiglia.
Se da un lato il Secondo Impero assiste al trionfo del Positivismo e a un forte aumento dei sentimenti anticlericali, dall’altro appare come un periodo di rinascita della fede cattolica.
Il budget destinato alle attività di culto aumenta, vengono costruite nuove chiese e istituiti nuovi pellegrinaggi, come quello di Lourdes, dove, nel 1858, la Vergine Maria appare ben diciotto volte a Bernadette Soubirous, e che è tuttora uno dei santuari più famosi.
L'eclettismo degli interni
Vase (d'une paire), en 1867
Musée d'Orsay
Dépôt du Mobilier national
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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Riflesso di una società eterogenea e delle sue recenti ricchezze, il Secondo Impero osa i tentativi stilistici più svariati, passando dal neogreco al neogotico, dall’orientalismo al giapponismo.
Prova di audacia e di conservatorismo al tempo stesso, la fioritura dei revival, già presente al tempo della Monarchia di luglio, prosegue durante l’lmpero.
Tale enciclopedismo delle fonti ornamentali è oggetto di diverse pubblicazioni, come The Grammar of Ornament (Owen Jones, 1856), che contribuiscono a una migliore conoscenza dei motivi e alla loro diffusione.
Il neogotico trova la sua espressione profana più riuscita nei restauri dei castelli di Pierrefonds (Oise) e di Roquetaillade (Gironde) o ancora nella costruzione del castello d’Abbadia a Hendaye sulla costa basca.
Eretta su una scogliera a picco sull’Atlantico da un allievo di Viollet-le-Duc, Edmond Duthoit, per una famiglia di monarchici anglofili, questa dimora è l’espressione di una sintesi sapiente e moderna del repertorio gotico e islamico, uniti da un medesimo gusto della policromia.
Anche quello rinascimentale è tra gli stili preferiti dei nuovi committenti, come testimonia la lussuosa residenza privata della marchesa di Païva, magistrale sintesi stilistica illustrata in particolare da una delle mensole del grande salotto e dai pregiati velluti.
Tra i collezionisti e i ceti finanziari, la passione per gli oggetti del XVII e XVIII secolo resta una costante che condiziona la costruzione e la distribuzione di palazzi e hôtels particuliers.
L’esempio più eloquente è il castello di Ferrière, costruito nel dipartimento della Seine-et-Marne dall’architetto inglese Paxton per la famiglia del grande banchiere James de Rothschild.
Le luci della “festa imperiale”
Fête officielle au palais des Tuileries pendant l'Exposition Universelle de 1867, salon de 1868
Compiègne, Musée national du château
Dépôt du musée du Louvre
© Photo RMN - Droits réservés © RMN-Grand Palais (domaine de Compiègne) / Droits réservés
L'immagine della “festa imperiale” ha a lungo danneggiato la fama del Secondo Impero tra i posteri. Tuttavia, l’organizzazione di sontuosi ricevimenti dipende da una volontà politica di prestigio.
Giovane e cosmopolita, la corte sostiene l’industria del lusso e contribuisce a trasformare Parigi nella capitale europea dei divertimenti.
Tra i tre e i quattromila invitati si accalcano puntualmente ai grandi balli dati alle Tuileries nei mesi invernali. In occasione dei ricevimenti ufficiali, come quello della regina Vittoria nel 1855, o quello del re di Spagna nell’agosto 1864, l'Impero fa rivivere i fasti della Versailles di Luigi XIV.
La visita del re di Prussia e dello zar di Russia, durante l’Esposizione universale del 1867, dà luogo a uno dei ricevimenti più sfarzosi dell’epoca.
Durante il carnevale, l’imperatrice, amante dei travestimenti ‒ passione che condivide con la contessa di Castiglione ‒ organizza dei balli in maschera, dove appare vestita ora da dogaressa, ora da odalisca ora da dama del Settecento, a testimonianza del suo interesse per Maria Antonietta.
A Compiègne, le famose “serie”, organizzate al ritmo di tre o quattro a stagione, da fine ottobre a metà dicembre, riuniscono scrittori, compositori, pittori e uomini politici.
Nelle serate animate dal conte di Nieuwerkerke al Louvre o dalla principessa Pauline di Metternich all’ambasciata austriaca, si improvvisano quadri viventi e altri giochi di società.
Si va così definendo l’immagine di un regime all’insegna della festa continua.
I teatri sotto l'Impero
Nouvel Opéra, vue et perspective. Projet pour le concours ouvert en 1860 pour le Nouvel Opéra de Paris, en 1861
Musée d'Orsay
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
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La nuova Opéra di Charles Garnier, il monumento più famoso e più spettacolare della Parigi haussmanniana, è anche uno dei più emblematici dello stile Napoleone III, stando alla risposta che avrebbe dato l’architetto all’imperatrice Eugenia quando questa gli chiese a che stile appartenesse.
Esso non deve tuttavia offuscare la ricchezza e la diversità di quello che fu il mondo dello spettacolo durante l’Impero.
All'Opéra trionfano Verdi e Meyerbeer, mentre Wagner fa scandalo con il suo Tannhäuser (1861). Il Théâtre-Lyrique è il luogo della rinascita con Gounod et Bizet.
Per tracciare il boulevard du Prince-Eugène, Hausmann distrugge il boulevard du Temple e le sue sale riservate agli spettacoli popolari, avviando così la ricostruzione di numerosi teatri come quelli della place du Châtelet, il Vaudeville, il Gymnase o la Gaîté.
Eugénie Fiocre, en 1869
Musée d'Orsay
Achat, 1892
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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Il decreto di liberalizzazione dei teatri del 1864 fa nascere nuovi palcoscenici, aperti a un nuovo repertorio, e vede l’emergere di personalità i cui nomi resteranno per sempre legati a questo periodo: Jacques Offenbach, l’inventore dell’opera buffa, trionfa alle Bouffes-Parisiens e alle Variétés con La Belle Hélène (1864), La Vie parisienne (1866) o La Grande-Duchesse de Gerolstein (1867), tutti successi che condivide con la sua cantante diva, Hortense Schneider.
Il teatro è dominato dalle commedie di costume di Dumas figlio, Victorien Sardou, oltre che dai vaudevilles di Labiche, a cui Un chapeau de paille d'Italie (1851) e Le Voyage de Monsieur Perrichon (1860) avrebbero assicurato la gloria.
Le classi popolari sono attratte dai nuovi caffè-concerto, L'Eldorado (1858) o il Ba-ta-clan (1864), dove vanno ad ascoltare cantanti popolari come Thérésa, prima star della storia della canzone.
Nuovi svaghi, nuovi quadri
La Grenouillère, 1869
Stockholm, Nationalmuseum
Copyright: www.bridgemanimages.com © Photo: Nationalmuseum
Gli anni ’50 dell’Ottocento segnano l’avvento degli svaghi moderni. I numerosi teatri e caffè-concerto sorti nella capitale non sono gli unici intrattenimenti e mezzi di evasione ricercati dalle diverse classi sociali.
Per sfuggire alla strada e alla sua confusione, non occorre andare lontano, e i giardini, che siano di recente creazione, come quello delle Buttes-Chaumont, o storici, come quello delle Tuileries, si offrono come porti di pace e luoghi di svago.
Adolf von Menzel, durante il suo soggiorno parigino nel 1867, ha saputo cogliere i due volti della città: l’effervescenza della strada in cui darsi da fare e la calma dei giardini in cui ritrovarsi all’ombra degli alberi.
Non lontano da Parigi, lungo le rive della Senna, sull’île de la Chaussée a Croissy, La Grenouillère, con il suo ristorante e la sua sala da ballo, è un luogo di ritrovo popolare dove si va a fare canottaggio e dove i pittori Monet e Renoir scovano i soggetti moderni adatti al loro nuovo modo di vedere.
Questa è anche l’epoca della villeggiatura e del turismo balneare, facilitati dall’estensione della rete ferroviaria.
La costa normanna e quella basca sono le mete preferite dell’aristocrazia e dei nuovi ricchi dell’industria e della finanza.
Napoleone III fa costruire per l'imperatrice una villa a Biarritz, mentre alcuni investitori privati realizzano le stazioni balneari di Cabourg, Deauville o Arcachon.
Come sui boulevards, sfilano in questi luoghi il gran mondo e il demi-monde.
I cosiddetti pittori “della vita moderna” si appropriano delle nuove abitudini nascenti, come Eugène Boudin, che fa della spiaggia e dei cieli cangianti uno dei suoi soggetti prediletti, o Claude Monet, che passa l’estate del 1870 a Trouville dove immortala l'Hôtel des Roches noires (celebre albergo di lusso aperto nel 1866).
Il Salon o la scena dell'arte
Salon de 1852, Grand Salon mur nord (au centre : "Les demoiselles de village" de Gustave Courbet), en 1852
Musée d'Orsay
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Alexis Brandt
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Manifestazione artistica due volte centenaria, il Salon domina ancora largamente il mondo delle arti nella Parigi del Secondo Impero.
Con una cadenza annuale o biennale, migliaia di artisti sottopongono le loro opere a una giuria di accademici e allo sguardo di un pubblico sempre più numeroso, i cui difetti sono la gioia dei caricaturisti.
Nonostante la nascita di alcune gallerie private, la gloria, gli acquisti statali e le commesse si ottengono solamente al Salon. La critica lamenta puntualmente la morte della grande pittura storica e il trionfo dei generi minori quali il ritratto, il paesaggio o la natura morta.
In questo periodo di abbondanza e di crisi estetica, nessuna scuola sembra dominare. Eclettico e profuso, il Salon accoglie tanto Delacroix e gli allievi di Ingres che le provocazioni realistiche di Courbet, i nudi di Bouguereau, le fantasie dei pittori di genere e i miraggi orientalisti.
Nel maggio 1863, dinanzi al numero considerevole di opere rifiutate (3.000 sulle 6.000 presentate) e alle proteste degli artisti, l’imperatore disconosce l'Accademia – baluardo dell’opposizione monarchica – e istituisce un Salon des refusés (Salone dei rifiutati), che lascia giudicare al pubblico la qualità delle opere.
Pur essendo talvolta difficile distinguere quelle buone dalle cattive, la storia dell’arte ricorderà l’acquisto, da parte dell’imperatore, della Vénus di Cabanel e lo scandalo del Déjeuner sur l'herbe di Edouard Manet, la cui modernità del soggetto e schiettezza scioccano e aprono la strada a un nuovo modo di rappresentazione.
Le Esposizioni universali o il trionfo dell’Impero
Le Palais de l'Industrie, vue perspective, en 1854
Musée d'Orsay
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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Volute dall’imperatore e sostenute dai grandi industriali francesi (Emile Pereire o Eugène Schneider), le Esposizioni universali organizzate a Parigi nel 1855 e 1867 testimoniano la prosperità dell’Impero.
In risposta alla prima edizione londinese del 1851, Napoleone III ordina nel marzo 1852 la costruzione di un “Palais de l'Industrie” sugli Champs-Elysées destinato ad ospitare un’esposizione prettamente francese.
Nel 1867, l'Esposizione si estende sugli Champ-de-Mars per accogliere da aprile ad ottobre la cifra record di undici milioni di visitatori, tra cui una folla di teste incoronate sbalordite dal nuovo assetto di Parigi.
Queste fiere dal genere nuovo si affermano come luogo della rivalità commerciale tra le Nazioni e come sintomo spettacolare di una società affascinata dall’abbondanza di beni resa possibile dalla rivoluzione industriale. “L'Europa si è mossa per vedere delle merci”, scrive lo storico e filosofo Taine nel 1855.
Chaise n°4, entre 1881 et 1890
Musée d'Orsay
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Konstantinos Ignatiadis
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Francia e Inghilterra, che hanno firmato nel 1860 un trattato di libero scambio, conducono allora una sorta di guerra silenziosa per la superiorità nel campo delle arti applicate.
Se le competenze industriali degli inglesi sono innegabili, l’innovazione e la qualità dei prodotti francesi trionfano e dominano il mercato del lusso.
Le esposizioni contribuiscono inoltre a smussare i particolarismi nazionali e a cementare una forte coscienza culturale europea, che si esprime tramite una lenta standardizzazione degli stili.
Sebbene la nozione di “capolavoro” resti determinante per i designer, il successo crescente dei manufatti, come ad esempio le sedie in legno curvato della ditta Thonet, annuncia il peso sempre più importante che avrà l’industria nella storia delle arti decorative del Novecento.