Visita l'Italia e muori, fotografia e pittura nell'Italia del XIX secolo

Venise, la place Saint Marc au clair de lune, vers 1842
Hanovre, Niedersächsisches Landesmuseum
© Niedersächsisches Landesmuseum, Hanover / DR
La vasque de l'Académie de France à Rome, 1826-1827
Beauvais, musée départemental de l'Oise
© RMN-Grand Palais / Hervé Lewandowski
Dopo l'invenzione della fotografia, nel 1839, il nostro modo di concepire l'eredità culturale dell'Italia cambia in modo radicale. La mostra Vedere l'Italia e morire illustra come la nostra concezione del paesaggio, dell'architettura, dell'arte e della popolazione d'Italia, fino a quel momento trasmessa dalle belle arti tradizionali, ovvero la pittura, il disegno, la scultura ma anche la stampa, abbia subito un'evoluzione.
Prima della fotografia
Negli anni venti del XIX secolo, Roma attrae un'intera generazione di pittori che si attengono alle norme della pittura di paesaggio riformata, sul finire del XVIII secolo, dal francese Pierre Henri de Valenciennes e dal britannico Thomas Jones. Questi artisti apprezzano la natura in quanto tale, senza il tramite di un pretesto letterario, religioso o mitologico. Tra loro, Camille Corot e Léon Cogniet, tanto per citare due nomi, riportano dalle loro passeggiate, un gran numero di schizzi o quadri di piccolo formato.
Venise, palazzo Ducale avec soldats, entre 1845 et 1852
Collection Ken & Jenny Jacobson
© Courtesy of K. and J. Jacobson, UK
Excursions daguerriennes in Italia
L'invenzione di Daguerre, illustrata al pubblico nel 1839 a Parigi, conosce una grande risonanza in Italia come nel resto d'Europa. I disegni ottenuti grazie alla camera obscura oprattutto i contorni del paesaggio del quale rendevano fedelmente le proporzioni e la prospettiva ma non consentivano di riprodurre il chiaroscuro. La capacità del dagherrotipo nel raffigurare la natura in modo "obiettivo" senza fare ricorso all'intervento creatore dell'artista, fa di esso uno strumento prezioso che unisce efficacia e precisione.
Ricercato dagli intenditori, il dagherrotipo è altresì all'origine di un gran numero di progetti editoriali. L'ottico francese Noël-Marie Paymal Lerebours tra il 1841 e il 1843 pubblica Excursions daguerriennes : vues et monuments les plus remarquables du globe. L'opera è illustrata da acquetinte realizzate utilizzando dagherrotipi. Tuttavia, qualche intervento qua e là, eseguito a mano, è giudicato necessario per "animare" le vedute, con l'aggiunta di personaggi che il tempo di posa non permette di fissare sulla lastra dagherriana.
Vieille tour à Arona, sur le lac Majeur, vers 1858
Collection Ken & Jenny Jacobson
© Courtesy of K. and J. Jacobson, UK
L'Italiano Ferdinando Artaria con la sua serie delle Vues d'Italie d'après le Daguerréotype dà allora inizio ad un progetto dello stesso tipo mentre il britannico Alexander John Ellis non porterà a termine un'iniziativa simile per la quale ha riunito più di centocinquanta lastre, realizzate direttamente da lui o acquistate da altri operatori. Da parte sua, John Ruskin ha messo assieme una cospicua collezione di dagherrotipi parte dei quali furono utilizzati, accanto ai disegni e agli acquerelli da lui realizzati, nella sua celebre opera Le pietre di Venezia.
Tivoli, cascade de l'Aniene, vers 1850
Musée d'Orsay
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
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La Scuola Romana di fotografia
Quello che ai nostri giorni è conosciuto con il nome di Scuola romana di Fotografia, è un gruppetto d'intenditori che, agli inizi degli anni cinquanta del XIX secolo, sono soliti incontrarsi presso i locali del Caffè Greco, Via dei Condotti. I suoi soci si scambiano informazioni sulle nuove tecniche del negativo su carta e praticano assieme sul campo, seguendo in questo l'esempio dei circoli dei calotipisti che nella stessa epoca nascono in Francia e in Inghilterra.
I loro rapporti con il mondo della pittura, dal quale alcuni di loro provengono, influenzano il loro modo di guardare, come quello della maggior parte dei primi fotografi. Tuttavia, se la loro interpretazione visiva della città affonda le sue radici nella tradizione della pittura di paesaggio, costoro raggiungono risultati originali facendo proprie quelle tecniche fotografiche che sono al centro delle loro preoccupazioni.
Rome. La colonne de Phocas et l'arc de Septime Sévère au Forum, l'église Santa Luca e Martina, et le temple de Vespasien, 1849
Collection Paula and Robert Hershkowitz
© Paula and Robert Hershkowitz
Francesi come Frédéric Flachéron, Alfred-Nicolas Normand o Eugène Constant, d'origine britannica come James Anderson, o nati in Italia come Giacomo Caneva, tutti condividono un progetto comune: fotografare Roma creando così una ricca documentazione architettonica e delle vedute della città.
La città eterna, tuttavia, non ha il monopolio della pratica del calotipo che si sviluppa anche nel resto della penisola da nord a sud. Tuttavia, mentre il dagherrotipo aveva subito conosciuto un grande successo commerciale, il calotipo interessa soprattutto un pubblico più esigente e con una sensibilità artistica più sviluppata.
Rome, clair de lune sur le Forum, vers 1865
Kalamata, Grèce, collection particulière
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / DR
Il Grand Tour
A partire dal 1860, il turismo conosce uno sviluppo straordinario in Italia. La borghesia segue le orme degli adepti del "Grand Tour", formula che evoca una sorta di viaggio iniziatico la cui pratica si era diffusa sin dalla fine del XVI secolo in seno alla classe dirigente inglese e a quella francese. Nel XIX secolo, il fascino esercitato dall'Italia è rinnovato dagli scavi archeologici condotti a Pompei e ad Ercolano, alimentato anche dalla moda della letteratura di viaggio.
Venise au clair de lune, vers 1875
Guilford, collection Bruce Lundberg
© Robert J. Hennessey
I fotografi di questo periodo adottano il procedimento del negativo su vetro al collodio e del positivo su carta all'albumina, più facile da utilizzare rispetto al dagherrotipo e al calotipo. Nelle grandi città è tutto un fiorire di laboratori fotografici che lavorano soprattutto per i turisti. Carlo Naya a Venezia, i fratelli Alinari a Firenze, Robert MacPherson e Gioacchino Altobelli a Roma, Giorgio Sommer ed Alphonse Bernoud a Napoli, per citare i nomi più famosi, propongono ai collezionisti immagini- ricordo: vedute panoramiche delle città, dei monumenti, dei capolavori dei musei. Questa pratica è molto diffusa fino agli anni ottanta del XIX secolo. Da questo momento in poi, infatti, l'evolversi delle tecniche fotografiche consente a tutti gli appassionati di questo genere di realizzare da soli i propri album.
La sentinelle, 1871
Collection particulière
© D.R.
IL Risorgimento
Dopo 1815, a seguito delle decisioni adottate dal Congresso di Vienna, l'Italia è suddivisa in sette stati. La riconquista dell'unità italiana costituisce uno dei grandi movimenti nazionali del xix secolo, conosciuto sotto il nome di Risorgimento. A quest'ultimo aderiscono un gran numero di artisti ed intellettuali che non solo lo sostengono ma, nelle loro opere, ne forniscono un accurato resoconto. È proprio il caso di numerosi fotografi ma anche di pittori come Girolamo Induno o Giovanni Fattori.
Agli anni 1848-1849, risalgono i primi tentativi, effettuati dai patrioti risorgimentali per sottrarre alcuni stati dalla duplice tutela austriaca e pontificia, Questi primi moti furono però soppressi. Le fotografie di Stefano Lecchi rappresentano una preziosa testimonianza della difesa di Roma ad opera dell'esercito garibaldino e delle distruzioni subite dalla città.
Palerme. Rue de Tolède, juin 1860
Guilford, collection Bruce Lundberg
© Robert J. Hennessey
Dieci anni dopo, tra il 1859 e il 1861 l'opera di unificazione viene ripresa e portata a compimento, grazie allo slancio popolare, all'impulso di Cavour e al sostegno di Napoleone III. Il movimento suscita il plauso internazionale e molti sono gli stranieri che giungono a prestar manforte a Garibaldi. Nel 1860, le milizie guidate dall'Eroe dei due mondi, indicate con il nome di Camicie Rosse (o anche I Mille), conquistano finalmente la Sicilia e Napoli. In questo periodo Alexandre Dumas compie un viaggio in compagnia di Gustave Le Gray che realizza uno straordinario servizio fotografico sulle rovine e sulle barricate di Palermo.
Nel 1870 soltanto Roma non fa ancora parte del Regno D'Italia. La caduta dell'Impero Francese, però, priva il pontefice Pio IX del suo maggiore alleato e l'esercito italiano può così fare il suo ingresso a Roma tramite la breccia di Porta Pia. Quest'evento segna la fine del potere temporale del papato. L'annessione degli stati pontifici è ratificata da un plebiscito e, il 26 gennaio 1871, Roma diventa capitale dell'Italia unita.
Pompéi, empreinte humaine, 1868
Kalamata, Grèce, collection particulière
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / DR
L'occhio archeologico
Artisti e viaggiatori in cerca di un'immagine "autentica" dell'Antichità guardano con estrema attenzione alle scoperte effettuate a Pompei e ad Ercolano. Molte fotografie mostrano siti deserti, impressi di una melanconica poesia. Molte di queste immagini sono opera di viaggiatori britannici o francesi, ma anche di fotografi residenti a Napoli, Michele Amodio, Alphonse Bernoud, Roberto Rive e Giorgio Sommer. Quest'ultimo ha lavorato, quando si è presentata l'occasione, con Giuseppe Fiorelli, responsabile dagli scavi archeologici sin dal 1860. Sommer scatta molte fotografie dei calchi che Fiorelli ha realizzato facendo colare il gesso negli spazi lasciati dai corpi rimasti intrappolati nella lava.
Il 26 aprile 1872 è Sommer in persona a registrare, ogni mezzora, le fasi dell'eruzione del Vesuvio. Le sue immagini, paragonate agli approcci drammatici, poetici e romantici privilegiati dai pittori, mostrano una grande sobrietà.
Eruption du Vésuve, 26 avril 1872, 4½ p.m.
Kalamata, Grèce, collection particulière
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / DR
Diverso è il discorso che riguarda i siti archeologici romani la cui produzione fotografica è meno legata ai gusti dei turisti. In questo caso, l'obiettivo è più scientifico. Si tratta, infatti, di mettere in piedi una documentazione. In questo modo, l'archeologo britannico John Henry Parker ha fatto fotografare, tra il 1865 e il 1877, gli edifici e le opere d'arte risalenti al Medioevo e all'Antichità, rinvenuti nel corso degli scavi del Palatino, del foro romano e delle terme di Caracalla. Queste fotografie, spesso austere rappresentazioni di frammenti di architettura, serviranno ad illustrare la sua opera in dodici volumi, The Archeology of Rome, testimonianza preziosa su un aspetto della capitale romana andato disperso durante la modernizzazione della città.
Les pèlerins à Rome, 1842
PoznaT, Muzeum Narodowne Fundacji im Raczynkich
© Muzeum Narodowe, Poznan
Popolo italiano e modelli per artisti
Nell'Italia del XIX secolo la maggior parte dei viaggiatori evita di mescolarsi alla popolazione locale. Da un lato, se i visitatori stranieri ammirano tanto gli italiani, eredi dell'Antichità e "figli della natura" la cui vita non è stata ancora intaccata dalla civiltà; dall'altro si dimostrano sprezzanti nei confronti di queste popolazioni contadine che giudicano rozze e inaffidabili. Quest'ambivalenza si riflette nei numerosi racconti di viaggio, tra cui quello di Maximilien Misson, spesso citato nel XIXe secolo ma pubblicato ai primi del XVIII secolo in cui si evoca "Un Paradiso popolato da Diavoli e da Madonne". Le fotografie esposte in questa sezione mettono in luce i numerosi stereotipi legati all'immagine del popolo italiano: musicisti ambulanti (pifferari), acquaioli, pubblici scrivani, ragazzi poveri di Napoli (lazzaroni) e
Modèle pour "Petite marchande de figues", entre 1863 et 1869
Musée d'Orsay
2006, acquis par l'Etablissement public du musée d'Orsay de la librairie Serge Plantureux, Paris
© Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
Vedi il bando dell'opera
mangiatori di pasta.
Per alimentare la loro creatività, i pittori e gli scultori vanno alla ricerca di immagini come queste, il più delle volte ricostruite espressamente per loro. Alcune scene di genere che mostrano contadini italiani sembrano così direttamente ispirate a modelli fotografici. Come nel caso dei quadri di Edmond Lebel, pittore francese che ha, anche lui, praticato la fotografia. Gli "Studi per artisti" si moltiplicano e costituiscono un ramo importante della produzione fotografica per molti decenni. Gli studi realizzati da Filippo Belli, Giacomo Caneva, A. de Bonis ou Gustave Eugène Chauffourier sono tra i più ricercati.
Ruine au bord de la mer, 1880
Aarau, Aargauer Kunsthaus / Depositum der Gottfried Keller-Stiftung
© Aargauer Kunsthaus Aarau
Sogno pittorialista
All'alba del XX secolo, il pittorialismo, movimento di portata internazionale, si prefigge di promuovere la fotografia come una forma di espressione artistica al pari della pittura. Distanti dalle preoccupazioni commerciali, i fotografi che appartengono a questa corrente mettono la loro competenza tecnica a servizio della loro creatività.
I più importanti scatti pittorialisti realizzati in Italia, appartengono a due illustri esponenti del Camera Club di Vienna: Heinrich Kühn e Hugo Henneberg. I paesaggi dell'ultimo dei due contengono, per la loro struttura e il loro formato, dei richiami con i quadri simbolisti di Arnold Böcklin o di Hans Thoma. Invece, i paesaggi di Kühn sono caratterizzati da una fattura più drammatica, oseremo dire teatrale.
Caïn, 1913
Vienne, Westlicht Museum / Peter Coeln
© Westlicht Museum, Viena / Peter Coeln
I ponti che popolano l'universo pittorialista, si ritrovano nelle composizioni dalle dense ombre di Alvin Langdon Coburn, mentre dalle fotoincisioni di James Craig Annan si sprigionano atmosfere che trasportano lo spettatore verso i confini indefiniti tra realtà ed immaginazione.
Per i suoi contemporanei, i nudi en plein air di Wilhelm von Gloeden evocano la rinascita di un'Arcadia simile al mondo bucolico popolato di fauni di un Böcklin. Questi nudi, portatori di una simbologia omosessuale più o meno scientemente ignorata, sono considerati sia come la rappresentazione di un paradiso perduto, sia utilizzati come modelli nelle accademie delle Belle Arti.