Hvile




Discendente di Vermeer o precursore di Hopper? Hammershøi, pittore danese la cui notorietà si consolida negli anni ottanta del XIX secolo, è senza dubbio entrambe le cose. L'intimismo minimalista dei suoi interni così come l'atmosfera inquieta che si sprigiona dal suo apparente rigorismo rappresentano una sufficiente testimonianza.
Hammershøi ha senza dubbio inventato il ritratto di spalle, che va ad aggiungersi ai già esistenti ritratti di viso e di profilo. Questa donna seduta – che potrebbe benissimo essere sia una domestica che una borghese e che non si capisce bene cosa stia facendo – colpisce per l'indifferenza che mostra nei confronti di colui che la sta contemplando. Al personaggio silenzioso corrisponde una gamma molto raffinata di grigi e di marroni, che mostra la profonda sensibilità del pittore per le atmosfere interne.
La composizione è interamente in angoli retti: le linee della sedia, del plinto, della credenza quadrettano questo elogio dell'assenza con un rigore tutto protestante. Tuttavia, non bisogna affrettarsi a concludere che questa tela sia un'allegoria della solitudine e della tragicità umana. Infatti, il vero soggetto potrebbe essere la nuca, la parte del corpo più impudica nell'immaginario orientale. Dopo tutto queste insolite ciocche scompigliate, la scollatura della camicetta che lascia intravedere il candido incarnato delle spalle e che fa da contrappunto alla coppa a forma di fiore posata sul mobile, costituiscono gli antidoti radicali alla tentazione di una lettura piattamente puritana.