Vénus à Paphos

Jean Auguste Dominique Ingres
Vénus à Paphos
vers 1852
huile sur toile
H. 91,5 ; L. 70,3 cm.
Achat grâce au soutien de la société des Amis du musée d'Orsay, 1981
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Franck Raux
Jean Auguste Dominique Ingres (1780 - 1867)
Rez-de-chaussée, Salle 1
Come indicato dal titolo, questo quadro rappresenta Venere, la dea romana dell'amore e della fecondità. Sullo sfondo, dietro una rigogliosa vegetazione dipinta da Alexandre Desgoffe, allievo e collaboratore di Ingres, appare un tempio antico. Questo dettaglio- come la presenza di Cupido bambino – suggerisce, in modo inequivocabile, che la donna nuda in primo piano è proprio Venere. In uno dei suoi taccuini, tuttavia, Ingres scrive "Schizzo per una Venere, ritratto-dipinto", e sottolinea la parola "ritratto" per porre l'accento sul genere stesso della tela . Quest'ultima, dunque, non deve essere semplicemente considerata un'opera mitologica. Del resto, questa Venere, con la sua fisionomia particolare caratterizzata da un viso ovale e da grandi occhi grigio-azzurri, non assomiglia affatto alle divinità molto stereotipate che Ingres ama ritrarre.
La modella, della quale conosciamo il nome, è Antonie Balaÿ (1833-1901), figlia di un ricco parlamentare. Quello che ignoriamo, invece, è in che modo l'artista sia riuscito ad abbinare il corpo nudo di Venere al viso, perfettamente riconoscibile, di una dama dell'alta società. Si potrebbe trattare, forse, di un'opera su commissione annullata quando il ritratto era già in corso il che, avrebbe indotto Ingres a trasformare il suo quadro in una scena mitologica. Tuttavia, stentiamo a credere che il pittore non abbia avuto il consenso iniziale della modella.
In quest'opera, Ingres, come sua consuetudine, raffigura il corpo di Venere senza preoccuparsi della veridicità anatomica, introducendo nel ritratto deformazioni fisiche che, anni dopo, conquisteranno Picasso. La linea della schiena è un po' troppo incurvata, mentre il collo forma uno strano angolo con la spalla sinistra. Questo corpo particolare, unito allo sguardo assente di Antoine Balaÿ, conferisce a quest'opera ibrida un insolito erotismo, al confine tra sogno e realtà.
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